Architettura thai: dove la religione diviene arte e bellezza
Ad eccezione di pochi esempi di ispirazione induista, la maggior parte dei monumenti rappresentativi dell’architettura thai trae ispirazione dal buddhismo Theravada. Per apprezzare e per comprendere appieno l’evoluzione dell’arte thailandese bisogna visitare i templi del Paese. Gli architetti e gli scultori della Thailandia vedevano nella realizzazione artistica l’acquisizione di meriti e la rappresentazione di verità eterne e immutabili, piuttosto che l’espressione della creatività personale. Ci sono alcuni elementi che ritornano come costanti negli edifici e nelle rappresentazioni artistiche thailandesi: conoscerle vi permetterà di amare ancor meglio questo Paese!
Gli elementi fondamentali dell’architettura thai
Per apprezzare appieno la gran quantità di templi e di statue religiose della Thailandia e capire le differenze tra le opere realizzate in epoche differenti, occorre conoscere le diverse forme dell’architettura thai e dell’iconografia buddhista e induista.
Il wat, o complesso di templi buddhisti, ha svariate funzioni: è la residenza di una comunità monastica, un luogo di culto, un santuario per custodire statue sacre e un luogo d’incontro per la gente di città e di campagna. L’architettura del wat si è evoluta in diversi modi, ma ci sono molti elementi essenziali che sono rimasti costanti da una quindicina di secoli ad oggi.
L’edificio più importante del wat è il bot, la cui traduzione più corretta è “sala delle ordinazioni”. Normalmente il bot occupa il centro del complesso, è riservato ai monaci e se non utilizzato viene chiuso a chiave. Solitamente un wat ha un solo bot, distinto dagli altri edifici grazie agli otto sema (o pietre di confine) che lo circondano. Poste ai quattro angoli del wat e ai quattro punti cardinali, queste pietre delimitano il terreno consacrato; di solito sembrano pietre tombali capovolte, anche se possono assumere forme differenti. Spesso sono scolpite con episodi o ideogrammi buddhisti simbolici e, a volte, sono protette da tempietti in miniatura.
Il viharn o sala di riunione, spesso identico al bot, è invece aperto ai fedeli: ospita sia laici che monaci, riuniti per la preghiera comune e le funzioni religiose. Qui, di norma, è custodita la statua del Buddha del wat, talvolta insieme a statue minori. Nei grandi wat possono esserci diversi viharn, mentre quelli riservati alla meditazione possono non averne nemmeno uno.
Altro elemento importante dell’architettura thai è il chedi o stupa (detto “that” nelle regioni del nord): una torre a pagoda concepita, in origine, come monumento destinato a raccogliere le reliquie del Buddha, e trasformata in seguito in luogo dove vengono custodite le ceneri della famiglia reale. Solitamente a base circolare, il chedi è la struttura buddhista che ha subito più cambiamenti nel tempo e, in quanto tale, diventa l’elemento più caratteristico per contraddistinguere i diversi periodi.
L’iconografia buddhista
Inizialmente, la rappresentazione per immagini era considerata inadatta a trasmettere gli astratti principi filosofici del buddhismo; la sola iconografia approvata era costituita di simboli della dottrina, come il Dharmachakra.
A poco a poco questi simboli vennero sostituiti da statue del Buddha, create soprattutto come rappresentazioni materiali dei suoi insegnamenti piuttosto che come ritratti dell’uomo. Gli scultori seguirono le indicazioni dei testi in lingua pali che stabilivano le pose (asanha) e i gesti (mudra) più comuni del Buddha. Tutte le immagini tridimensionali del Buddha sono venerate.
Delle quattro pose in cui il Buddha è raffigurato (seduto, in piedi, in cammino e disteso – o sdraiato), la più comune in Thailandia è il Buddha seduto, in meditazione. Una variante molto diffusa mostra il Buddha seduto su un serpente mitologico (naga), arrotolato e protetto dalle sue sette teste disposte a ventaglio come un cappuccio. La posa distesa simboleggia il Buddha che entra nel Nirvana dopo la morte, mentre le statue che lo raffigurano in piedi e in cammino rappresentano la sua discesa dal paradiso Tavatimsa.
Anche i gesti delle mani sono caratteristici e importanti. Tra i più comuni, il Dhyana Mudra (Meditazione), nel quale le mani poggiano sul grembo con i palmi all’insù; il Bhumisparsa Mudra (simbolo del Buddha che resiste alle tentazioni) con la sinistra che appoggiata al grembo con il palmo all’insù e le dita della destra che poggiano sul ginocchio destro indicando la terra; il Vitarkha Mudra (Insegnamento) con una mano o entrambe all’altezza del petto, con il pollice e l’indice che si toccano; l’Abhaya Mudra (Dissipazione della paura) con la mano destra o con entrambe sollevate a palmo piatto in gesto di “stop”.
L’iconografia indù
Rispetto all’iconografia buddhista, quella indù tende ad essere più vivace: questo è dovuto sia al fatto che c’è un assortimento di dèi fra cui scegliere sia al fatto che questi hanno personalità maliziose e compaiono in ogni genere di reincarnazioni bizzarre. Un elemento fondamentale della filosofia induista è la certezza che qualsiasi cosa può essere considerata una residenza temporanea, un’incarnazione o un simbolo di una divinità; l’iconografia induista include, quindi, rappresentazioni astratte oltre a immagini figurative.
Le tre divinità indù principali (Vishnu, Brahma e Shiva) che formano la cosiddetta Trimurti, e bestie mitologiche minori sono gli elementi peculiari di questa iconografia.
Vishnu è sempre stato molto popolare: il suo ruolo di “Preservatore” rappresenta sia la stabilità che il concetto di amore altruistico. Spesso è rappresentato come divinità, ma può assumere anche altre incarnazioni umane o animali. Le manifestazioni (avatar) di Vishnu sono dieci in tutto; di queste le più popolari sono Rama, Krishna e Buddha.
Quando è rappresentato come divinità, Vishnu è raffigurato con una corona sulla testa e quattro braccia, mentre le sue mani reggono una conchiglia di strombo (la cui musica allontana i demoni), un disco (usato come arma), un bastone (simbolo del potere della natura e del tempo) e un loto (emblema di fioritura e rinnovamento). Il dio è spesso raffigurato accanto a un garuda, essere mitologico metà uomo e metà uccello.
Le statue e le rappresentazioni di Brahama (il Creatore) sono molto rare. Anche Brahma ha quattro braccia, ma si differenzia da Vishnu perché non sorregge nessun oggetto e perché ha quattro volti. In genere cavalca una creatura simile a un’oca, chiamata hamsa.
Infine, Shiva (il Distruttore), è il membro più mutevole del pantheon. Ambivalente e misterioso, rappresenta il comportamento estremo, l’inizio e la fine -diventando di volta in volta distruttore e creatore- ma anche simbolo della fertilità; è emblema di grande energia e potenza. La sua forma divina ha, tipicamente, quattro, otto o dieci braccia e a volte regge un tridente (che simboleggia la creazione, la protezione e la distruzione) e un tamburo (per scandire il ritmo della creazione). Strettamente associati a Shiva sono Parvati, sua moglie, e Ganesh, il figlio dalla testa di elefante, rappresentato frequentemente nell’architettura thai.
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